La Suprema Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 9721/2020, pubblicata il 26 maggio scorso,  ha ribadito il principio, già enunciato in precedenza (Cass. N. 2950/2017), secondo il quale, “in tema di responsabilità della banca in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (il che rappresenta interesse degli stessi operatori), è del tutto ragionevole ricondurre nell’area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte di terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo”.

Dunque è la banca che deve fornire la prova della riconducibilità dell’operazione al cliente.

Questa regola secondo gli ermellini è chiaramente enunciata nell’art. 10 del  D. Lvo n. 11 del 2010 (Attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno).

Inoltre, postulando pur sempre la natura contrattuale del rapporto tra banca e correntista, e dunque un certo rilievo dell’art. 1176 del cod.civ. in tema di diligenza delle parti del rapporto di conto, la Corte ha osservato che la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare riguardo alla verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, ha natura contrattuale e, quindi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente, configurabile nel caso di protratta mancata attivazione di una qualsiasi forma di controllo degli estratti conto.

In buona sostanza, da un lato grava sempre sulla banca l’onere di diligenza di impedire prelievi abusivi, per altro verso grava sempre sulla banca l’onere di dimostrare che il prelievo non è opera di terzi, ma è riconducibile comunque alla volontà del cliente. Infine, quest’ultimo subisce le conseguenze della perdita se, per colpa, ha dato adito o ha aggravato il prelievo illegittimo.

Secondo i giudici di Piazza Cavour, poi, la denuncia del furto della carta bancomat deve avvenire senza indugio, termine che deve esser adeguatamente valutato nel caso concreto, e comunque non oltre i tredici mesi dalla conoscenza del fatto.

La Suprema Corte, infine, ha ribadito in 150 euro il limite posta dalla legge, nel caso in cui emerga l’uso indebito da parte del terzo,  quale somma a carico del correntista, per le operazioni di prelevamento effettuate prima del blocco della carta.

(L.L.)

Cassazione Civile, Terza Sezione Civile, Ordinanza 26 maggio 2020 n. 9721

 

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