Con sentenza del 4 settembre 2012, n. 4682, il Consiglio di Stato è tornato nuovamente a pronunciarsi sui tratti distintivi della concessione di servizi rispetto all’appalto di servizi.

Il Codice dei Contratti definisce le due tipologie di rapporto negoziale, rispettivamente, all’art. 3, comma 10 e all’art. 3, comma 12.
L’appalto pubblico di servizi è un contratto sinallagmatico avente per oggetto la prestazione dei servizi di cui all’allegato II del Codice.
La concessione di servizi presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità all’articolo 30 del Codice.

Quando si passa, tuttavia, dall’enunciazione teorica all’applicazione concreta delle definizioni normative la giurisprudenza ha spesso dei tentennamenti, anche in considerazione della differenza tra i principi comunitari – che riconoscono nell’allocazione del rischio e nell’assunzione della correlativa responsabilità – i tratti distintivi della concessione, rispetto ai principi derivati dalla tradizione nazionale, che vedeva piuttosto nell’ampliamento della sfera giuridica del concessionario e nell’attribuzione a quest’ultimo di pubblici poteri, quindi – in definitiva – nella natura surrogatoria dell’attività del concessionario, gli elementi caratterizzanti la fattispecie.
La sentenza in commento verte sulla esatta qualificazione della natura giuridica dell’affidamento dell’attività di somministrazione di bevande e di altri prodotti alimentari a mezzo di distributori automatici nei locali di una struttura universitaria pubblica.

I giudici di Palazzo Spada hanno qualificato tale attività come concessione di servizi, ribaltando così la sentenza di primo grado, che aveva invece inquadrato il rapporto negoziale come appalto di servizi.

Ad avviso del Consiglio di Stato, ai fini della qualificazione in parola “risultano dirimenti da un lato la circostanza per cui il rischio della gestione del servizio all’origine dei fatti di causa resta interamente in capo al soggetto affidatario, il quale – oltretutto – è anche tenuto a corrispondere un importo pecuniario piuttosto cospicuo in favore dell’Amministrazione, e dall’altro lato la circostanza che il servizio viene erogato non in favore della Università, ma della collettività di utenti universitari (studenti, docenti, personale)”.

Nel caso di specie, l’operatore economico che installa i distributori automatici all’interno della struttura universitaria si remunera direttamente dai fruitori del servizio, con conseguente sussistenza del rapporto trilaterale tipico delle concessioni (concedente, concessionario, utente).

L’argomentazione sottesa alla sopra citata pronuncia è relativa al fatto che si è in presenza di concessione quando l’operatore si assume il rischio economico della gestione del servizio, rifacendosi sugli utenti mediante riscossione di un canone o tariffa, mentre si è in presenza di appalto quando l’onere del servizio grava sull’Amministrazione.

Il Collegio enfatizza, poi, il tratto distintivo tra l’appalto e la concessione di servizi individuandolo nella diversa modalità di remunerazione dell’attività dell’operatore economico, richiamando orientamenti già espressi in precedenza (n. 5068/2011 e n. 3377/2011): nell’appalto si prevede un corrispettivo che è pagato direttamente dall’Amministrazione al prestatore di servizi; nella concessione, invece, la remunerazione del prestatore di servizi proviene dagli importi versati dai terzi per l’utilizzo del servizio, con la conseguenza che il prestatore assume il rischio economico della gestione del servizio.

Al proposito, non andrebbe, comunque dimenticato che – come riconosciuto dalla stessa Commissione europea – è possibile che nei contratti di concessione vengano previsti i c.d. “shadow-toll” ovvero tariffe ombra che possono essere utilizzate per non snaturare la tipologia di rapporto e mantenere il rischio di gestione in capo al concessionario nel caso in cui il corrispettivo debba essere corrisposto dall’amministrazione anziché dagli utenti. Difatti, l’elemento della remunerazione assume rilievo, al fine di operare la distinzione tra appalto e concessione, soltanto quando il servizio pubblico, per le sue caratteristiche oggettive è divisibile fra quanti, in concreto ne beneficiano direttamente (Cons. Stato, Sez. V, 30 aprile 2002 n. 2294).

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