Le norme in materia di “libertà di impresa” sono legge, nonostante le indubbie perplessità che molte disposizioni destano, in particolare sotto il profilo della parità di trattamento tra le micro, piccole e medie imprese, da un lato, e le grandi imprese dall’altro.
Le prime risultano certamente favorite dal provvedimento, che contiene varie norme dirette dichiaratamente ad incentivare la partecipazione delle micro, piccole e medie imprese alle gare per l’affidamento di contratti pubblici.
Solo per fare alcuni esempi, si va dal frazionamento degli appalti in più lotti, alla modifica dell’art. 91 comma 1 del Codice Contratti per prevedere l’applicazione delle disposizioni del codice stesso  all’affidamento di incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo solo in caso di importi superiori alle soglie di interesse europeo, all’ipotesi di privilegiare le forme associative di micro, piccole e medie imprese nell’ambito della disciplina che regola i pubblici appalti, al divieto per le stazione appaltanti di richiedere a questa tipologia di imprese la documentazione a comprova dei requisiti autocertificati in sede di gara, eccezion fatta per l’eventuale aggiudicataria, la quale, tuttavia, in caso di mancata comprova, sembrerebbe assoggettata a sanzioni più incisive di quelle stabilite in via odinaria dall’art. 48 del D.Lgs. 163/2006.
Il provvedimento, nonostante le encomiabili intenzioni, appare destinato a determinare notevoli difficoltà applicative.
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