Con l’ordinanza n. 24759 depositata l’8 settembre 2025, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione interviene ancora una volta in tema di assegno divorzile, precisando e rafforzando la funzione compensativo-perequativa dell’istituto, anche in assenza di una prova rigorosa della rinuncia a opportunità professionali da parte del coniuge richiedente.
Al centro della vicenda c’è una ex moglie alla quale i giudici d’appello avevano riconosciuto un assegno divorzile, pur avendo lei già ricevuto, in sede di separazione, somme di denaro e beni in natura ritenuti dal ricorrente pienamente compensativi. Ma secondo la Corte, quanto ricevuto a titolo di ripartizione patrimoniale non assorbe il profilo della compensazione per l’apporto dato alla vita familiare, che va valutato secondo criteri autonomi e con attenzione alla funzione propria dell’assegno.
La controversia nasce da un procedimento di divorzio definito in primo grado dal Tribunale, con sentenza che riconosceva alla ex moglie un assegno divorzile mensile e una quota del TFR. La Corte d’Appello, pur riformando parzialmente il primo grado, confermava il diritto all’assegno e al 40% del trattamento di fine rapporto, in applicazione dell’art. 12-bis della l. n. 898/1970.
A fronte di tale decisione, l’ex marito proponeva ricorso in Cassazione, lamentando, in sintesi, una duplicazione delle tutele economiche riconosciute all’ex coniuge, nonché una valutazione erronea delle prove testimoniali circa le perdite reddituali da lei sostenute.
La Corte territoriale aveva ricostruito la dinamica familiare, evidenziando come, durante il matrimonio, la donna si fosse fatta carico in via esclusiva o comunque preminente della cura dei figli e della gestione domestica, rinunciando – sebbene non formalmente documentato – alla possibilità di intraprendere ulteriori attività lavorative.

Parallelamente, il marito aveva potuto dedicarsi pienamente alla propria carriera, crescendo professionalmente fino a ricoprire incarichi direttivi in azienda, con frequenti trasferte anche all’estero, e continuando anche da pensionato a percepire redditi da collaborazioni.
Questo squilibrio economico, ancora esistente al momento del divorzio, giustificava – a giudizio della Corte d’Appello – l’attribuzione di un assegno compensativo, nonostante l’assenza di una formale rinuncia alla carriera da parte della donna.
La Suprema Corte ha confermato l’impostazione dei giudici di merito, rigettando integralmente il ricorso. Con una motivazione particolarmente dettagliata, la Corte ribadisce che:
«L’assegno divorzile, avendo una funzione compensativo-perequativa, va adeguato all’apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico della cura della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione risorse economiche, personali o sociali, per soddisfare i bisogni della famiglia e sostenere la formazione del patrimonio dell’altro coniuge».
Tale principio, già affermato dalla Corte con le sentenze nn. 18287/2018, 24795/2024 e 27536/2024, trova in questa decisione un’ulteriore precisazione: la funzione perequativa dell’assegno può operare anche in mancanza di prove “rigorose”, purché si dimostri, anche attraverso testimonianze, il ruolo familiare concretamente svolto.
Particolarmente significativa la posizione della Corte anche in tema di prova del sacrificio economico: secondo il ricorrente, la decisione d’appello aveva valorizzato una sola testimonianza, priva di riscontri documentali, per attribuire alla ex moglie una perdita reddituale. Ma la Cassazione ha ritenuto sufficiente e coerente la valutazione del giudice di merito, che ha tenuto conto del contesto complessivo, della struttura familiare e della distribuzione dei ruoli durante il matrimonio.
Dunque, anche l’accertamento del pregiudizio può basarsi su elementi indiziari, senza la necessità di una prova documentale diretta, quando risulti da un’analisi completa delle circostanze.
Altro elemento interessante è il ruolo attribuito dalla Suprema Corte agli accordi economici raggiunti in sede di separazione: il ricorrente li invocava come elemento compensativo del contributo dato dalla ex moglie alla vita familiare. Ma la Cassazione chiarisce che quegli accordi rilevano solo per la ripartizione del patrimonio comune, e non possono assorbire il diritto all’assegno divorzile, che va valutato autonomamente al momento del divorzio, e con riferimento alla funzione dell’istituto.
La decisione conferma l’orientamento oramai consolidato della Cassazione, che insiste sulla natura non assistenziale ma compensativa dell’assegno divorzile. In altre parole, l’assegno non è uno strumento di sostegno alla povertà dell’ex coniuge, ma un ristoro per il contributo dato alla formazione del patrimonio familiare e all’autonomia dell’altro coniuge, nel rispetto del principio costituzionale di solidarietà (art. 2 e 29 Cost.).
