Il Consiglio di Stato (Sez. VI, sent. n. 2597/2025) interviene nuovamente sul tema della qualificazione giuridica delle cosiddette “case mobili” installate all’interno delle strutture ricettive all’aperto. Una questione che ha forti implicazioni in ambito catastale, urbanistico ed edilizio, e che impatta in modo significativo sull’operatività di campeggi e villaggi turistici.
Tutto nasce da un accertamento catastale operato dall’Agenzia delle Entrate, che, nel rivedere la rendita di un campeggio situato nel Veneto, ha incluso nel computo 63 maxi-caravan presenti stabilmente nell’area. L’amministrazione ha agito in applicazione dell’art. 2, comma 3, del D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, che estende la nozione di “unità immobiliare” anche ai manufatti prefabbricati semplicemente appoggiati al suolo, purché “stabili nel tempo” e dotati di “autonomia funzionale e reddituale”.
Il proprietario della struttura ha impugnato la norma regolamentare, ritenendola illegittima perché, a suo dire, eccedente la potestà ministeriale, in contrasto con l’art. 812 c.c. e con il principio costituzionale di riserva di legge in materia tributaria (art. 23 Cost.).
I giudici di Palazzo Spada, confermando la pronuncia del TAR Lazio, respingono l’appello e confermano la piena legittimità del provvedimento ministeriale.
La rendita catastale, precisano i giudici, non costituisce un’imposta, né il presupposto immediato di essa. È un valore tecnico, destinato a rappresentare la base imponibile per l’applicazione di determinati tributi, e la sua determinazione può essere regolata da fonti secondarie. Pertanto, non viola il principio di legalità tributaria la previsione contenuta in un regolamento, se questa si limita a definire criteri tecnici di classificazione catastale.
Ma il cuore della decisione si trova altrove: nella definizione stessa di cosa sia un “bene immobile”.
Richiamando l’art. 4 del R.D.L. 652/1939 e l’art. 2 del D.M. 28/1998, il Consiglio di Stato ribadisce un principio già consolidato dalla giurisprudenza civile e amministrativa: anche le strutture non materialmente infisse al suolo possono essere considerate immobili quando siano stabili nel tempo e funzionalmente autonome.
Le maxi-caravan collocate nei campeggi, sebbene teoricamente mobili, perdono la loro natura precaria nel momento in cui vengono stabilmente posizionate e dotate di tutti i collegamenti funzionali. In quel contesto, diventano parte integrante del complesso immobiliare, e come tali concorrono alla formazione della rendita catastale.
Nel passaggio più significativo della sentenza, il Consiglio di Stato si allinea all’indirizzo secondo cui la precarietà di un’opera non si misura in base ai materiali o alla facilità di rimozione, ma in funzione dell’uso concreto cui è destinata.
In altre parole, se il manufatto è destinato a un utilizzo continuativo e stabile – anche se stagionale – esso non può essere qualificato come precario. Non rileva, in questo senso, che la struttura sia tecnicamente rimovibile o poggiata su ruote: ciò che conta è la sua funzione stabile all’interno dell’attività ricettiva.
Il Collegio, nel motivare la propria decisione, richiama anche l’art. 3, comma 1, lett. e.5), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, secondo cui sono da considerarsi “nuove costruzioni” anche i manufatti leggeri o prefabbricati utilizzati come abitazioni o ambienti di lavoro, ad eccezione di quelli destinati a esigenze temporanee o installati in strutture ricettive debitamente autorizzate.
Ma l’eccezione si applica – si precisa – solo quando la presenza sia effettivamente temporanea. Se, invece, le cosiddette “case mobili” restano posizionate per l’intera stagione o anche per anni, e sono collegate a impianti fissi, la loro installazione costituisce un intervento edilizio rilevante, soggetto a titolo abilitativo.
In questo senso, la pronuncia si inserisce nel solco di un orientamento ormai consolidato (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 150/2018; n. 1291/2016; n. 2842/2014), secondo cui non può parlarsi di precarietà ogni volta che l’opera incida in modo stabile e non occasionale sul territorio.
Nelle more del giudizio, è intervenuto l’art. 7-quinquies del D.L. 9 agosto 2024, n. 113 (conv. con L. 7 ottobre 2024, n. 143), che ha previsto, a partire dal 1° gennaio 2025, l’esclusione degli allestimenti mobili di pernottamento dotati di meccanismi di rotazione dal censimento catastale. Una norma che, per il Consiglio di Stato, ha natura innovativa e non interpretativa, e non può retroagire agli atti adottati in precedenza.
Dunque, l’accertamento catastale in oggetto – risalente al 2020 – resta valido, così come resta legittima la previsione regolamentare del 1998.
La sentenza ribadisce con forza che le case mobili, quando inserite stabilmente all’interno di campeggi o villaggi turistici, non possono più essere considerate manufatti precari. Si tratta di componenti edilizie funzionali e reddituali, destinate a rimanere nel tempo, e come tali soggette a permesso di costruire e accatastamento.